Vertenze con le badanti
Chiunque abbia avuto alle dipendenze proprie o di un proprio caro un badante, è perfettamente consapevole del fatto che la probabilità di vertenza, alla chiusura del rapporto di lavoro, è tutt’altro che trascurabile.
Il lavoro di badante richiede infatti una presenza costante e cospicua che si concretizza in un onere economico altrettanto costante e cospicuo. Gli accordi presi al momento dell’assunzione aiutano poco il datore di lavoro, perché possono essere facilmente impugnati dal lavoratore sulla base di un consolidato principio della giurisprudenza secondo il quale il lavoratore “versa in stato di bisogno” ed è quindi disponibile a siglare qualsiasi genere di accordo lavorativo “vessatorio” pur di sbarcare il lunario.
Attenzione quindi a stipulare con il lavoratore un contratto “personalizzato”, perché:
1) Il lavoro dipendente in Italia è disciplinato da specifiche leggi ed è regolato dai Contratti Nazionali. Prendere accordi difformi da quanto previsto dalla normativa, rischia di tradursi in un contenzioso di difficile gestione.
2) Le firme apposte sulle buste paga valgono come quietanza di pagamento (devono quindi essere firme leggibili e non semplici scarabocchi) ma non come accettazione del corrispettivo versato.
In costanza di rapporto di solito nulla accade. I problemi sorgono quando il rapporto si chiude, indipendentemente dalla motivazione che sta dietro alla risoluzione (dimissioni, licenziamento o risoluzione consensuale).
Molto spesso a fine rapporto il lavoratore si rivolge ad un sindacato per ottenere dei conteggi da confrontare con quelli proposti dal datore di lavoro. In quella occasione descriverà al sindacalista il tipo di mansioni svolte e il grado di autosufficienza dell’anziano assistito. Il sindacalista provvederà quindi ad elaborare i conteggi, a calcolare le eventuali differenze retributive, il T.F.R. debitamente rivalutato e a contabilizzare i ratei accessori (per tredicesima ed eventuali ferie non godute).
A quel punto il lavoratore ha davanti a sè due percorsi alternativi:
a) richiedere autonomamente il corrispettivo al datore di lavoro, recapitando il conteggio via posta o portandolo direttamente, oppure
b) dare mandato al sindacato di portare avanti la trattativa; in quest’ultimo caso il datore di lavoro riceverà una raccomandata dal sindacato con un avviso di convocazione.
Se il datore di lavoro fa finta di niente – soprattutto nel caso b) – è assai probabile che il sindacato affidi la pratica ad un avvocato e che venga dato avvio ad un Ricorso del Lavoro presso il tribunale territorialmente competente.
E’ quindi molto importante che, una volta ricevuti i conteggi, il datore di lavoro si attivi.
Cosa deve fare il datore di lavoro quando riceve i conteggi?
Se i conteggi gli vengono recapitati dal lavoratore, la prima cosa da fare è chiedere ad un esperto di leggerli e valutarne la congruità.
Se i conteggi sono congrui – ad esempio perché il lavoratore chiede delle differenze retributive legate ad un mansionario di livello superiore rispetto a quello in cui era stato inquadrato – sarà necessario instaurare una trattativa direttamente con lui (o lei). L’obiettivo sarà quello di trovare un accordo transattivo che accontenti entrambi. Se il lavoratore si dovesse impuntare e pretendesse di incassare fino all’ultimo centesimo della somma riportata sui conteggi (o talvolta anche di più!), è bene che il datore di lavoro chieda al lavoratore di gestire la trattativa attraverso il sindacato al quale il lavoratore si è rivolto: i sindacalisti infatti sono consapevoli del fatto che in qualche misura anche il lavoratore dovrà cedere qualcosa per arrivare ad un accordo e con loro sarà più facile giungere ad una conciliazione stragiudiziale non più impugnabile.
Nel rapporto con il sindacato però è bene che il datore di lavoro si faccia assistere da un consulente del lavoro o da un’associazione di categoria. In questo caso non è invece ancora necessario l’intervento di un avvocato. Andare da soli a trattare con un sindacalista esperto equivarrebbe infatti ad infilarsi nella tana del lupo a mani nude.
Se i conteggi invece sono “di fantasia” – ad esempio perché il lavoratore non ha tenuto conto di versamenti già eseguiti o pretende mansioni superiori mai svolte – non sarà necessario instaurare alcuna trattativa: basterà versare sull’IBAN del lavoratore la somma che il datore ritiene sia corretta e lasciare che il lavoratore si cuocia nel suo brodo. La probabilità di vertenza diventa a quel punto trascurabile (anche se un minimo rimane).
Cosa deve fare il datore di lavoro in caso di contenzioso giudiziale?
Se il datore di lavoro si vede notificare un atto giudiziario relativo ad un ricorso, l’intervento dell’avvocato diventa inevitabile, perché a quel punto sarà necessario difendersi nell’aula di un tribunale.
Il lavoratore nel ricorso dettaglia tutte le sue pretese ed elenca i testimoni che si riserva di presentare al giudice. Il datore di lavoro dovrà quindi – almeno 10 giorni prima dell’udienza iniziale – presentare la propria memoria e citare almeno due testimoni che confermino le proprie affermazioni. In pratica tutta la causa è delineata ancor prima della prima udienza e il giudice monocratico valuterà la congruità della richiesta sulla base delle memorie e, se necessario, ascoltando i testimoni.
Anche lì sarà necessario che il datore di lavoro valuti preliminarmente se le richieste del lavoratore hanno fondamento oppure no. Se le richieste appaiono fondate, sarà opportuno prevedere una strategia processuale che favorisca la conciliazione in prima udienza.
Fino al 2010 datore di lavoro e lavoratore erano obbligati a tentare una conciliazione preliminare presso la Direzione Provinciale del Lavoro. L’obbligo si traduceva in uno sterile rito in cui l’accordo non si raggiungeva mai. Attualmente è la prima udienza del processo che viene utilizzatta per tentare la conciliazione: il giudice possiede infatti una maggiore “capacità persuasiva” nei confronti delle parti e, qualora ravveda una immotivata scarsa disponibilità da parte di una di esse, non manca mai di sanzionare tale reticenza a livello di sentenza finale. Questo potere discrezionale del giudice non manca di sortire i suoi positivi effetti.
Va inoltre evidenziato che, a differenza del passato, si è smesso di pensare che “il lavoratore ha sempre ragione”. L’impennata di ricorsi del lavoro ha spinto invece i giudici a trattare la materia con molto più disincanto ideologico e con un sano pragmatismo. Non è più così raro il caso in cui il lavoratore non solo non veda riconosciute le proprie pretese ma venga anche condannato alla copertura delle spese legali e processuali!
Insomma, il datore di lavoro vittima di speculazione, è un po’ più tutelato dalla giustizia. Vale sempre però la regola di affidarsi ad un avvocato che abbia una buona esperienza nel campo.